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Malattie autoimmuni e alimentazione: non tutti i grassi vengono per nuocere

Si dice che il corpo umano sia una macchina perfetta forgiata da milioni di anni di evoluzione. Non saprei se aderire al coro di coloro che si elevano a sostegno di tale affermazione: dopotutto la riserva funzionale dei nostri organi nobili è limitata. Fortuna che il sistema immunitario lavora a pieno regime per garantirci salute duratura: i meccanismi di difesa, siano essi acquisiti (da maturazione delle cellule linfatiche di tipo linfocitario) o innati (come le barriere fisiche di cute e mucose) sono in grado di respingere virus, batteri, parassiti, allergeni e tossine.

Eppure, a volte, qualcosa va storto. Vediamo perché.

Indice

  • Introduzione
  • Malattie autoimmuni: quali sono i fattori scatenanti?
  • Un piatto di pasta per combattere il diabete? Ecco come.
  • Insomma, non demonizziamo i carboidrati…

Malattie autoimmuni: quali sono i fattori scatenanti?

Il sistema immunitario della donna si comporta in modo diverso rispetto a quello dell’uomo: in generale le risposte immunitarie sia mediate da anticorpi (dette umorali) sia mediate da cellule (proprio dai linfociti) sono più forti rispetto alla controparte maschile, e questa iperattività di base rende la donna anche più suscettibile alle malattie autoimmuni, un gruppo diversificato di più di 80 patologie croniche che colpiscono quasi il 5% della popolazione.

Queste affezioni sono caratterizzate da un’alterata risposta immunitaria nei confronti del “self”, cioè dell’organismo stesso. Il danno immuno-mediato causa presto disfunzioni negli organi bersaglio, di gravità variabile a seconda del distretto interessato.

Ancora non siamo in grado di stabilire con certezza che cosa provochi questo disconoscimento dei componenti del nostro corpo, altrimenti tollerati: evidenze scientifiche però suggeriscono che interazioni tra fattori genetici, ambientali e stili di vita contribuiscano allo sviluppo della malattia in maniera stretta e correlata.

Che si tratti di sindrome di Sjogren, lupus eritematoso sistemico, malattie autoimmuni della tiroide, sclerodermia (che presentano una frequenza fino a 10 volte più elevata nelle donne rispetto agli uomini), ma anche artrite reumatoide, sclerosi multipla, miastenia grave (che sono 2-3 volte più frequenti nel genere femminile), o ancora malattie infiammatorie intestinali e diabete tipo 1 (le quali non presentano differenze così marcate tra i due sessi), sono sempre strette le relazioni tra l’agente estraneo che preme il grilletto e la predisposizione allo sviluppo della patologia.

L’insulina è un ormone prodotto da specifici citotipi, le cellule beta delle isole di Langerhans del pancreas.

Ricopre molteplici funzioni: regola il metabolismo dei macronutrienti abbassando la glicemia e inducendo la creazione di glicogeno epatico e muscolare, favorisce la proteosintesi e la lipogenesi; interviene poi nel generare un senso di sazietà a livello centrale.

Prendiamo il diabete tipo 1, ad esempio: quasi 300.000 Italiani sono costretti a sottoporsi alle iniezioni dell’ormone insulina che nel diabetico è assente perché le cellule che lo producono vengono distrutte dai linfociti autologhi; e la prima cosa che il diabetico teme, si sa, è la pastasciutta, ma anche riso, cereali tutti, patate, pane legumi e i bistrattati pseudocereali.

Ebbene, possiamo forse tirare un sospiro di sollievo: le rivelazioni derivanti da uno studio condotto su animali e pubblicato sulla rivista Nature Immunology appaiono promettenti: i ricercatori hanno scoperto che una dieta ricca di amidi funge da fattore protettivo nei confronti del questa forma di diabete detta giovanile.

La somministrazione di insulina è una terapia salvavita per il soggetto diabetico, che per nessun motivo deve sospendere; la dose di insulina pronta, da somministrare a un pasto, deve essere adeguata al contenuto di carboidrati assunti.

Per apprendere la conta dei carboidrati è necessario imparare a conoscere quali cibi li contengono e soprattutto riuscire a conteggiarne il contenuto in grammi.

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Un piatto di pasta per combattere il diabete? Ecco come.

Sembra che le cellule beta del pancreas siano protette da alcuni acidi grassi a catena corta (Shot Chain Fatty Acid o SCFA, acetato e butirrato) che i batteri intestinali generano durante la digestione degli amidi – una infarinatura generale del mondo delle molecole grassose? Click qui! – l’acetato  ridurrebbe in modo sensibile la moltiplicazione dei linfociti T, responsabili della distruzione delle cellule beta del pancreas, mentre il butirrato incrementerebbe la funzione dei linfociti T regolatori – una sottoclasse delle cellule bianche del sangue che si occupa di spegnere l’infiammazione –, migliorerebbe l’integrità della mucosa intestinale e abbasserebbe anche la concentrazione dell’IL-21, una citochina che attiva e favorisce il meccanismo di proliferazione sempre dei linfociti T.

Dopotutto gli alimenti che consumiamo regolano la composizione del microbiota gastro-enterico. Ricordate? Lo yogurt consente di effettuare un ottimo giardinaggio nel nostro intestino.

Addirittura Charles Mackay, uno degli autori dello studio in questione, rilancia:

«Viviamo in un’epoca in cui potremmo scoprire che alcuni composti normalmente assunti con la dieta sono in realtà efficaci quanto un farmaco».

Solo il tempo potrà dire se tale affermazione risulti incautamente ottimistica. Fatto sta che nella gestione di queste affezioni fortemente invalidanti in maniera sempre più imperativa rientra la raccomandazione ad adottare uno stile di vita attivo e a ricorrere a una dieta sana.

Dell’indice glicemico abbiamo parlato qui; aggiungiamo ora un elemento alle nostre cognizioni: da più di trent’anni sappiamo che la risposta glicemica ad un pasto è migliore se il precedente è glicemicamente adeguato.

Se la cena è equilibrata, per esempio, la colazione godrà di benefici sostanziali e potrà pure essere un pochino più povera di fibre (ma senza esagerare!) – i meccanismi che regolano il così detto second meal effect non sono del tutto chiariti ma sembra che il nostro microbiota ci venga ancora una volta in soccorso con gli acidi grassi a catena corta che naturalmente produce: un pasto ricco di fibre, che vengono fermentate dalla flora intestinale e trasformate in SCFA, rallenta lo svuotamento gastrico riducendo la motilità dello stomaco anche dopo il secondo pasto, ed induce una migliore sensibilità all’insulina diminuendo la produzione di acidi grassi liberi dal tessuto adiposo, cosa che a sua volta facilita il glucosio ad entrare nei tessuti ed abbassare la glicemia (riducendo la resistenza all’insulina).

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Insomma, non demonizziamo i carboidrati…

La SINU, Società Italiana di Nutrizione Umana, ci suggerisce infatti di non demonizzare i carboidrati, ma di sceglierli con attenzione: dovremmo assumere il 45-55% dell’energia totale derivante dagli alimenti da carboidrati, anche in caso di diabete.

La quantità e la qualità delle proteine che si consigliano a un paziente diabetico sono, poi, le stesse proposte a un soggetto sano, a meno che non sia presente una nefropatia come complicanza. È corretto assumere proteine in ogni pasto con porzioni moderate (tipo: un palmo di mano, un quarto di piatto, 100 gr di carne o pesce, 50 gr di legumi secchi).

La cosa importante da ricordare è che alcune fonti proteiche, soprattutto quelle animali, portano a una richiesta di insulina maggiore rispetto all’atteso, a parità di carboidrati introdotti, e proprio per questo dovremmo attenerci alle raccomandazioni degli organismi preposti al controllo della nostra salute e consumare nella giornata 2/3 di proteine vegetali (da cereali integrali, legumi, frutta secca e a guscio, semi vari) e solo 1/3 di proteine animali.

Che altro dire: un’alimentazione ben costruita, adeguata al proprio fabbisogno, saziante al punto giusto, è in grado anche di sopportare piccoli strappi alla regola, permettendoci di gestire il rischio di sviluppare patologie della sfera immuno-endocrino-cardio-metabolica, o loro recidive e recrudescenze in caso la diagnosi sia già stata formulata.

Così i bucatini sono buoni due volte: per la gola… e per la glicemia!

Autoimmune diseases. Office on Women’s Health. 2012.

Borgelt, L. M. 2010. Women’s Health Across the Lifespan: A Pharmacotherapeutic Approach. ASHP; p. 579, ISBN 978-1-58528-194-7.

Salute della donna, rilasciato dal Ministero della Salute. 2016. http://www.salute.gov.it/portale/donna/dettaglioContenutiDonna.jsp?lingua=italiano&id=4492&area=Salute%20donna&menu=patologie.

Marino, E, Richards, J. L., Mackay, C. R., et al. 2017. Gut microbial metabolites limit the frequency of autoimmune T cells and protect against type 1 diabetes. Nature Immunology; 18, 552-562.

Per calcolare esattamente il contenuto dei carboidrati nei cibi si faccia riferimento alla tabella di composizione degli alimenti rilasciata dall’ente Crea, Consiglio per la ricerca i agricoltura e l’analisi dell’economia agraria (http://nut.entecra.it/646/tabelle_di_composizione_degli_alimenti.html), che fornisce il contenuto in carboidrati, CHO, per 100 gr di alimento; la tabella consigliata, seppure validata da dati empirici, è necessariamente una semplificazione: i cibi in commercio hanno un contenuto di carboidrati variabile a seconda della lavorazione e della marca, pertanto, quando possibile, è sempre meglio consultare l’etichetta del prodotto che viene consumato.

Per somministrare al meglio l’insulina: http://www.siditalia.it/divulgazione/insulina.

Fletcher, J. A., Perfield, J. W., Thyfault, J. P, Rector, R. S. 2012. The Second Meal Effect and Its Influence on Glycemia. Journal of Nutritional Disorders & Therapy; 2:1. DOI: 10.4172/2161-0509.1000108.

Gabrial, S. G. N, Shakib, M. R., Gabrial, G. N. 2016. Effect of Pseudocereal-Based Breakfast Meals on the First and Second Meal Glucose TOlerance in Healty ad Diabetic Subjects. Macedonian Journal of Medical Sciences; 4(4):565-573. DOI: 10.3889/oamjms.2016.115.

AUTORI

Mila Bonomi
Consulente nutrizionale
Coordinatrice del servizio di valutazione funzionale Top Physio Clinics

Nutrizione, Dietologia e Medical Fitness
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